La protagonista assoluta nella storia antica del Lazio è sempre stata Roma, con i suoi monumenti maestosi, i suoi re e le sue guerre. Spesso ci dimentichiamo che il territorio laziale, molto prima della fioritura di Roma e per certi versi alla base, vede l’emergere di una un’altra civiltà: gli Etruschi.
Sebbene il territorio più florido in cui la civiltà etrusca si è sviluppata è quello della Toscana, non dobbiamo dimenticarci che l’espansione etrusca ha interessato anche molte altre regioni, tra cui appunto il Lazio. La permanenza etrusca in Lazio ha lasciato moltissime tracce; noi ci occuperemo delle necropoli, in particolare di quelle di Vulci, Tarquinia, Cerveteri e Veio (in ordine dalla più settentrionale alla più meridionale).
Questa scelta è dovuta sicuramente alle peculiarità delle sepolture etrusche, che non potremo analizzare tutte nel dettaglio, in quanto sono molto numerose e molto ben conservate. Quindi, in questo itinerario tematico, verranno riportate le descrizioni delle tombe più significative dei luoghi più caratteristici dell’Etruria laziale.
Vulci
L'antica città etrusca di Vulci si trova in provincia di Viterbo, a pochi chilometri dal confine con la Toscana. Si tratta di uno dei centri marittimi più importanti dell’Etruria e il suo scalo portuale principale era Regisvilla. Oggi porta il nome di Pian di Voce. Non possediamo notizie storiografiche, sappiamo però che in origine sorgeva su un pianoro di tufo, come molte altri villaggi etruschi.
Le tombe di epoca villanoviana (la fase “proto-etrusca”, parliamo del IX secolo a.C. circa) sono a pozzetto o a fossa; all’interno troviamo manufatti locali (soprattutto oggetti in bronzo) e bronzetti nuragici, il che ci comunica l’importanza del commercio già in epoca remota. Nei secoli successivi (in particolare tra il VII e il VI) assistiamo a una decisiva espansione territoriale di Vulci, che la porta a contatto con la cultura greco-orientale: nelle tombe di questo periodo, infatti, troviamo ceramica greca o raffigurazioni di animali reali e fantastici (di chiara influenza orientale) che avevano la funzione di accompagnare il defunto nell’aldilà o di proteggerlo. Le tombe di metà VI secolo sono “a cassone”, hanno un soffitto a volta, banchine per la deposizione dei defunti e, particolare, uno spazio all’aperto in cui si svolgevano i riti funebri.
Nel V secolo la cittadina di Vulci affronta una grave crisi economica causata dall’espansione di Roma e anche dall’ampliamento dell’influenza cartaginese nel Mediterraneo. La ripresa arriva nel IV secolo, ed è testimoniata dalla costruzione delle mura, che al tempo stesso attesta la paura delle realtà che si stanno sviluppando all’esterno della cittadina. Vulci, infatti, si allea con Tarquinia per contrastare l’espansione di Roma: la guerra durò dal 358 al 351 e terminò con la sconfitta delle città etrusche.
La necropoli di Vulci
La necropoli di Vulci si trova in località Ponte Rotto e ne analizzeremo tre tombe, tutte risalenti al periodo più interessante, il IV secolo a.C.:
- La tomba delle iscrizioni fu scoperta nel 1956; la particolarità di questa tomba è che all’interno sono seppellite sia famiglie etrusche sia romane, sepolte qui dopo l’inglobamento di Vulci da parte di Roma. La tomba è molto ampia, presenta infatti un grande atrio e ben sei camere sepolcrali nelle quali sono visibili numerose iscrizioni (sia etrusche sia latine, riferite quindi alle famiglie sepolte), dalle quali prende appunto il nome.
- La tomba dei Tori presenta una pianta a “T rovesciata”, con un bellissimo soffitto decorato che imita i modelli reali. All’interno della tomba troviamo sarcofagi iscritti, dei quali uno in origine era sorretto da due grandi basi conformate a protome di toro che conferiscono il nome alla tomba.
- La tomba François è probabilmente la più celebre, grazie ai suoi dipinti: fu scoperta nel 1857 e risulta simile alle abitazioni private dell’epoca (seconda metà del IV secolo a.C.). Vi si accede attraverso un lunghissimo dromos (27 m) che conduce a un vestibolo a T. La caratteristica principale sono i due cicli pittorici presenti all’interno: sulla parete sinistra troviamo un soggetto mitico di derivazione greca, mentre sulla parete destra troviamo i soggetti storici, ossia Servio Tullio (re di Roma di origine etrusca) e i destinatari della tomba (dei nobili etruschi dell’epoca).
Il Castello dell’Abbadia (eretto nel XII secolo) ospita il museo, dove sono conservati i materiali rinvenuti a Vulci durante gli scavi.
Tarquinia
A una trentina di chilometri da Vulci sorge Tarquinia, in un’ottima posizione grazie alla rete viaria che la circonda e la collega alle altre città etrusche.
Si tramandano vari miti riguardanti la fondazione di Tarquinia, attribuita in alcuni casi a Tarconte, in altri a un contadino di nome Tagete o al padre di Tarquinio Prisco, Demarato. Storicamente, Tarquinia è stata fondata tra l’XI e il X secolo a.C.; nel VII secolo era diventata il centro principale dell’Etruria laziale, grazie anche alla fondazione di nuovi insediamenti nel corso dei secoli e all’influenza politica che ebbe su Roma (il quinto re di Roma proveniva da Tarquinia). Nello stesso secolo fu anche inaugurato il porto di Gravisca, che rese Tarquinia ancora più dinamica (dinamismo che si riflette nella decorazione delle tombe del periodo). Una delle tombe più interessanti dei secoli VIII-VII è la cosiddetta “tomba di Bocchoris”, oggetto di scavi non scientifici fino alla fine del XIX secolo. La tomba presenta un bancone scavato nel tufo sul lato sinistro, sul quale era deposto il corpo di una donna. Sono presenti elementi villanoviani e orientalizzanti, primo tra tutti un vaso con un cartiglio riportante il nome del faraone Bakenrener (Bocchoris) da cui la tomba prende il nome e che compare su altri oggetti rinvenuti in Etruria.
Nel 510 a.C. assistiamo alla cacciata di Tarquinio da Roma e a una crisi che investe tutta l’Etruria; in seguito alla guerra con Roma, Tarquinia ottiene una pace di quarant’anni. Nel 311 a.C Tarquinia intraprende una nuova guerra contro Roma, guerra in seguito la quale passa direttamente sotto la sua influenza e partecipa alle sue sorti.
Le necropoli di Tarquinia
Nella splendida necropoli di Tarquinia possiamo assistere alla realizzazione di magnifiche pitture parietali all’interno delle tombe, che tra VI e V secolo vedono la rappresentazione di scene di vita reale, mentre a metà del V secolo è evidente l’influenza dello stile attico, con i suoi chiaroscuri e la compostezza delle forme.
Risalente al 530 a.C. è la tomba delle Leonesse, che in realtà raffigura due pantere e, sulla parete in fondo, un danzatore nudo e una danzatrice coperta da una leggera tunica. A sinistra, una dama con tunica trasparente e a fiori e al centro un vaso cenerario. Di lato sono raffigurati dei commensali sdraiati sui klinai: uno regge nella mano destra un uovo (simbolo della rinascita), mentre nella mano sinistra una kylix. Al bordo della kline sono presenti dei fiori di loto, sotto i quali sono raffigurati delfini e uccelli in modo simmetrico. La figura del conviviante della tomba delle Leonesse è molto simile all’Apollo di Veio, statua di terracotta raffigurante il dio risalente all’inizio del VI secolo a.C.
Una eccezione alla linea tematica di questo periodo è la tomba dei Tori: mentre le altre tombe propongono rappresentazioni realistiche, qui ci troviamo di fronte una scena mitica, in cui è evidente l’influsso greco-orientale (agguato di Achille a Troilo).
Alla fine del VI secolo risale invece la tomba del Barone, che propone figure più composte: alberi simmetrici, cavalieri, una figura maschile che porge una kylix a una donna, e nel frontone delfini e ippocampi nuovamente simmetrici. Questo senso della misura, probabilmente, preannuncia l’influenza dello stile classico nel secolo successivo, visibile nella tomba dei Leopardi, dove risulta palese la suggestione del disegno greco. Realizzata all’inizio del V secolo a.C., la scena dipinta sulla parete di fondo di questa tomba vede protagonisti coppie di convivianti sdraiati su klinai, danzatori e flautisti; sul frontone una coppia di leopardi che conferisce il nome alla tomba. Suggestiva la parete di destra, sulla quale sono rappresentati flautisti e danzatori.
Nella seconda metà del IV secolo diventa tipico il tema dell’oltretomba, in corrispondenza della perdita dell’indipendenza. Un esempio è la tomba dell'Orco, le cui pitture non sono ispirate alla serenità di un banchetto come nel secolo precedente, ma rappresentano scenari lugubri e addirittura paurosi, prova di come l’arte sia spesso lo specchio della situazione storica in cui si esprime.
Tarquinia vanta anche un bellissimo edificio, Palazzo Vitelleschi, costruito tra il 1436 e il 1439, sede del museo dedicato all’esposizione dei reperti rinvenuti a Tarquinia e dintorni.
Cerveteri
A 50 chilometri a sud di Tarquinia troviamo Cerveteri, altra caratteristica cittadina etrusca chiamata Caere dai Romani, famosa soprattutto per i suoi numerosi porti e le mura costruite in età tarda. Intorno all’abitato consta di 400 ha. adibiti a necropoli, tra le quali le più importanti sono quelle della Banditaccia a nord e quella di Monte Abatone a sud.
In epoca arcaica Cerveteri era più arretrata rispetto a Tarquinia; nel VII secolo però, grazie alla specializzazione nella lavorazione del bronzo, vive un grande momento di sviluppo, che è stato possibile anche grazie ai commerci marittimi. Intraprende scambi soprattutto con l’oriente, scambi che le permettono di ricevere spinte non solo economiche ma anche culturali e artistiche. Cerveteri diventa un centro di incontro di diverse culture, dove si potevano acquistare prodotti orientali (ceramiche lavorate, oro, argento…); gli artisti locali iniziarono anche a imitare i prodotti che provenivano dall’oriente. Raggiunse un livello di ricchezza e di fama tale, che era l’unica cittadina etrusca a mantenere un tesoro al santuario di Delfi.
Nel VI secolo accolse addirittura gli artigiani ionici in fuga dai Persiani, arricchendosi quindi di manodopera specializzata dalla quale gli artigiani locali acquisirono nuove conoscenze. A metà dello stesso secolo, ottenne anche una vittoria navale sui Greci che confermò i suoi domini marittimi.
Cerveteri divenne poi un centro di educazione per i rampolli romani.
Nel V secolo a.C. ci fu una grande crisi commerciale, a causa soprattutto dell’espansione inarrestabile di Cartagine nel Mediterraneo. Fu conquistata dai Romani ma mantenne sempre una certa indipendenza.
Nel X secolo d.C. prese il nome di Caere Vetere (da cui Cerveteri).
Le necropoli di Cerveteri
Nelle necropoli di Cerveteri assistiamo al raro fenomeno della “stratigrafia inversa”, ossia la presenza delle tombe più antiche su uno strato superiore rispetto a quelle più recenti. Questo tipo di disposizione prevede una grande abilità da parte degli architetti dell’epoca (VII-VI secolo a.C.).
La necropoli della Banditaccia è quella più ricca e di maggiore interesse artistico-architettonico. Troviamo grandi esempi di tombe che mostrano un grande influsso orientale, come la tomba dei Capitelli, risalente al 570 a.C. Presenta un corto dromos (con due camerette ai lati), che conduce a una grande stanza scavata nel tufo con soffitto a cassettoni sorretto da pilastri con capitelli eolici (elemento orientale da cui prende il nome la tomba). Sono presenti altre tre camere, delle quali una ospitava il defunto.
Nel VI-V secolo a.C. le tombe riproducono gli ambienti interni delle abitazioni, come dimostra la tomba degli scudi e delle sedie che, con il suo diametro di oltre 40 m, ha al suo interno tre sepolcri. Risalente ai primi anni del VI secolo a.C., prende il nome dalle rappresentazioni pittoriche che riproducono infatti scudi e sedie. I banconi adibiti alla deposizione riproducono la forma della kline, mentre il soffitto è simile a quello delle abitazioni private dell’epoca.
Nel IV secolo si impone il modello di tomba a pianta quadrangolare, come testimonia la tomba dell'alcova, costituita da un unico salone, dal quale, attraverso tre gradini si accede a un ambiente a pianta quadrata con letto per accogliere i defunti coniugi.
Molti dei reperti rinvenuti nei sepolcri di Cerveteri sono custoditi presso il museo di Cerite, ospitato nel castello Ruspoli e inaugurato nel 1967.
Veio
Muovendoci per circa 40 chilometri in direzione est possiamo raggiungere l’antica città etrusca di Veio, la più meridionale dell’Etruria, il cui centro abitato odierno corrisponde alla località di Isola Farnese.
Veio sorgeva su un’altura tufacea circondata da mura (costruite tra V e IV secolo a.C.) e da vari corsi d’acqua che hanno reso possibili spostamenti e scambi commerciali. La storia di Veio è indissolubilmente legata a quella di Roma, con la quale ebbe molti scontri nel corso dei secoli, fino all’assedio (il cui racconto ci è tramandato da Tito Livio e da Dionigi di Alicarnasso) avvenuto tra il 406 a.C. al 396 a.C. (dieci anni, forse arrotondati dagli scrittori latini per conferire all’assedio di Veio il prestigio di quello di Troia), in seguito al quale fu conquistata e saccheggiata dai Romani.
Le necropoli di Veio
Le necropoli di Veio sono quelle della Valle la Fata, dei Quattro Fontanili e della Vaccheraccia. Nelle tombe di Veio sono stati rinvenuti corredi funebri più recenti rispetto a quelli delle altre città dell’Etruria meridionale, dai quali emergono anche rapporti con le altre popolazioni laziali e le popolazioni campane. Durante il periodo più arcaico, assistiamo all’utilizzo di tombe a cremazione, alle quali seguono quelle a fossa (spesso con inumazione in un tronco d’albero). Successivamente le tombe a fossa presentano anche loculi adibiti al corredo funebre che poi diventano camere sepolcrali; queste tombe vengono realizzate fino al IV secolo a.C.
Nel VII secolo compaiono i primi tumoli comprendenti una o più tombe a camera o ad area scoperta. Ne è un esempio la tomba Chigi, interessante anche perché al suo interno è stata rinvenuta l’omonima olpe protocorinzia e l’alfabeto di Formello inciso su un’anfora.
Una delle tombe più celebri di Veio è la tomba Campana nella quale fu rinvenuto un ricco corredo funebre conservato nel Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma. La tomba, datata intorno al 600 a.C., è scavata nel tufo e presenta un dromos e due camere. Davanti alla porta sono posti due leoni; a sinistra dell’ingresso è presente una cella destinata al corredo funebre. Le decorazioni della camera sepolcrale raffigurano il signore etrusco in una scena di caccia accompagnato da una pantera.
Un’altra rara testimonianza della pittura tombale di Veio è la tomba delle Anatre, risalente alla prima metà del VII secolo a.C. Deve il suo nome alle anatre rappresentate all’interno della camera, che ricordano la pittura vascolare italo-corinzia. Nella tomba sono state rinvenute tre urne cinerarie inconsuete in Etruria.
A differenza delle altre città etrusche, Veio ebbe pochi contatti con il mondo greco, in quanto non si trovava sulla costa ma era situata verso l’entroterra, sebbene secondo alcuni storici possedeva importanti scali alla foce del Tevere.
Molti dei reperti rinvenuti nelle tombe delle necropoli etrusche laziali sono oggi conservati al Museo Etrusco di Villa Giulia e al Museo Gregoriano Etrusco presso i Musei Vaticani che, fondato nel 1837 da papa Gregorio XVI, raccoglie le suppellettili rinvenuti nell’Etruria meridionale.