Stamnos del pittore del Dinos

Le menadi danzanti e il pilastro-idolo

Dioniso non sempre c’è, ma in un certo senso è sempre presente, come su questo vaso.

Si era creato un grande seguito, un tìaso “facendo indossare alle donne sul corpo pelle di cerbiatto, e mettendo loro in mano il tirso, asta avvolta d’edera […]. E le costrinsi a indossare l’abbigliamento proprio di chi celebra le mie orge” (Baccanti, 24-34).

stamnos del pittore del Dinos, vaso attico Provenienza dello stamnos

Il vaso è stato rinvenuto durante gli scavi nel territorio di Nocera ed è attualmente esposto presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN).

Descrizione dello Stamnos del pittore di Dinos

Su questo vaso, Dioniso non è presente fisicamente, ma troviamo un pilastro-idolo che lo rappresenta.

Si tratta di una tipica scena di celebrazione del culto dionisiaco, in cui le menadi (le donne del corteo del dio) si accingono a mescolare e a prendere il vino nei grandi vasi posti sul tavolo in primo piano.

Spostandoci sempre più verso i lati dello stamnos e verso il lato B, possiamo ammirare altre menadi che danzano tenendo in mano tamburelli e tirsi. Il mito racconta che le seguaci di Dioniso, dette anche “baccanti”, accompagnassero il dio nelle peregrinazioni atte alla diffusione del proprio culto, inebriate dal vino e dalla danza estatica.

Inoltre, le baccanti eseguivano lo sparagmòs, un rito molto violento che prevedeva lo smembramento di un animale (spesso vivo) in onore di Dioniso, seguito dall’omofagia, ossia dal pasto con la carne cruda dell’animale sacrificato al dio. [1]  Questo rituale deriva dal mito secondo il quale anche lo stesso Dioniso fu sventrato dai Titani quando era ancora un infante.[2]

Anche storicamente il culto di Dioniso ebbe molto séguito: donne che, come quelle rappresentate sul vaso, si dedicavano al culto del dio, adornandosi con le corone di alloro e impugnando i tirsi, raggiungendo quindi l’estasi attraverso il vino e la musica, anche al fine di sottrarsi al controllo oppressivo degli uomini.

Il vaso è l'opera maestra del ceramografo attico, in attività tra il 440 e il 400 a.C. chiamato convenzionalmente Pittore del Dinos o Pittore del Deinos.

Datazione: 425-415 a.C.
Dimensioni e materiale: Si tratta di un recipiente di ceramica nera con figure rosse alto 49 cm, adibito al contenimento di liquidi.

Lo stamnos del Pittore del Dinos è il terzo dei reperti selezionati per raccontare il mito di Dioniso attraverso le raffigurazioni su dieci vasi. Scopri la nostra rubrica “Dioniso, la rappresentazione del mito nei vasi antichi” per approfondire il mito e scoprire con noi quali sono gli altri vasi selezionati.

 

Foto credit: University of Oxford, Archivio Beazley, M. Tiverios, Elliniki Techni

 

[1] Nelle Baccanti di Euripide, possiamo leggere in cosa consistesse miticamente un rito dionisiaco, a quale grado di estasi potessero giungere le donne, che perdevano completamente la ragione alla presenza del dio. Dioniso, giunto a Tebe, non venne riconosciuto in quanto dio e rese folli le donne della città, le quali fuggirono tra i boschi del monte Citerone; Agave compì il gesto più estremo di tutti, ossia, in stato di trance, dilaniò il figlio Penteo (re di Tebe) e ne pose la testa sopra un tirso. Il delirio dionisiaco non risparmia nessuno, neanche l’amore di una madre può vincere la potenza di Dioniso, dio dell’ebbrezza e dell’illusione.

[2] Si tratta di uno degli aspetti più interessanti del mito dionisiaco: i Titani diedero a Dioniso uno specchio quando era ancora un bambino e, mentre guardava stupito la sua immagine riflessa, lo smembrarono e lo divorarono. Il tema della “frammentazione” è presente da sempre nel subconscio umano e nelle culture più antiche: in questo caso assistiamo a un bambino che si specchia per la prima volta, che per la prima volta si sdoppia, si sente presente fisicamente e presente nello specchio in cui si riflette e ne rimane meravigliato. Così, i Titani ne approfittano per squartarlo, per spremerlo, come accade con gli acini d’uva, dai quali si ottiene quel liquido inebriante così caro al nostro dio.

Un progetto di Danila Franceschetto.

L’AUTORE

Danila Franceschetto

Una laurea in storia a Torino e una passione smodata per la cultura e letteratura greca. Quando non leggo, scrivo. Da un po’ vivo in Toscana, nel tempo libero se non sono al cinema mi trovate al mare!

Dal 2019 collaboro con Siti Archeologici d’Italia.

Sogni nel cassetto? Tanti! Ma uno ve lo svelo, lavorare in un museo sarebbe davvero fantastico!